La “sindrome sgombroide” o “intossicazione da istamina” è una forma particolare di intossicazione alimentare dovuta all’ingestione di istamina contenuta nei cibi mal conservati, in particolare nel pesce.
La sindrome sgombroide, anche nota come intossicazione da istamina, è una condizione derivante dall’ingestione di cibi contenenti grandi quantità di istamina, una molecola prodotta fisiologicamente da molti organismi viventi e responsabile di processi infiammatori e allergici. Tipicamente gli alimenti imputati sono pesci marini della famiglia Scombridae: non solo lo sgombro, come il nome della sindrome potrebbe far credere, ma anche la palamita, la lampuga e varie specie di tonno. Anche pesci appartenenti ad altre famiglie, come le sardine, le alici, le aringhe e occasionalmente i salmoni possono causare il disturbo. Più raramente sono coinvolti altri cibi, tra cui i formaggi.
I meccanismi sottostanti
L’origine della malattia risiede in un inadeguato processo di congelamento del pesce, che permette la crescita incontrollata dei batteri contenuti nell’alimento; i batteri, a loro volta, operano un processo metabolico che converte l’istidina (un amminoacido, componente naturale di molti organismi) in istamina. I sintomi che ne conseguono sono quindi dovuti all’istamina, proprio come nelle allergie alimentari, ma tra le due condizioni esiste una grande differenza: nel caso delle allergie alimentari, l’istamina viene prodotta dal nostro corpo in risposta agli allergeni; nella sindrome sgombroide, invece, l’istamina viene introdotta dall’esterno poiché è già contenuta nel cibo (in pratica, viene “mangiata”).
Come si presenta
La sindrome sgombroide è stata descritta per la prima volta nel 1799 in Gran Bretagna, e da allora innumerevoli episodi sono stati riconosciuti in varie parti del mondo, dal Giappone agli Stati Uniti d’America. I casi descritti si sono verificati sia in ambiente domestico sia in luoghi deputati al ristoro collettivo, come ristoranti, mense scolastiche e caserme militari. Ciò nonostante, a causa della sua somiglianza con una reazione allergica alimentare, questa malattia è ancora sottovalutata e spesso non riconosciuta.
L’intossicazione da istamina provoca generalmente sintomi lievi, di breve durata e che si risolvono da soli. Tipicamente, si manifesta 20-30 minuti dopo l’ingestione del cibo contaminato con arrossamento del volto, prurito, mal di testa, dolore addominale, diarrea e palpitazioni; spesso, chi ne è colpito riferisce un caratteristico sapore metallico, amaro o piccante in bocca. La maggior parte dei sintomi risolve entro 6-8 ore, ma il malessere generale può perdurare anche per 24 ore o più. Più raramente, l’arrossamento può estendersi a volto e torace, e possono presentarsi nausea e vomito, orticaria, bocca secca. Nei casi più gravi, possono verificarsi difficoltà respiratorie, problemi cardiaci e la pressione arteriosa può abbassarsi fino a provocare perdita di coscienza.
Riconoscere la sindrome
Poiché l’istamina, molecola responsabile del disturbo, è anche la principale fautrice delle reazioni allergiche, la sindrome sgombroide presenta sintomi simili a quelli delle comuni allergie alimentari: per questo, spesso non viene riconosciuta, attribuendo i disturbi a un processo allergico legato ai cibi assunti, e non all’istamina in essi contenuta. Qualche indizio per distinguere tra le due condizioni: poiché le allergie di nuova insorgenza sono rare in età adulta, bisogna sospettare la sindrome sgombroide se la reazione si verifica dopo aver mangiato un alimento che in passato si erà già assunto senza problemi; inoltre, se i sintomi si verificano in più persone che hanno mangiato lo stesso cibo, è più probabile che si tratti di sindrome sgombroide piuttosto che di reazione allergica collettiva.
e la raccolta della storia clinica e i sintomi sono suggestivi, non sono comunque sufficienti per porre diagnosi di sindrome sgombroide: la certezza si ha analizzando l’alimento imputato, e in particolare misurando la quantità di istamina in esso contenuta attraverso specifiche metodiche di laboratorio (la semplice ispezione visiva e olfattiva non basta). Come regola generale, concentrazioni di istamina superiori a 50 mg per 100 g di pesce possono essere sufficienti a causare l’intossicazione, ma la reattività varia molto da individuo a individuo. Un ulteriore metodo per accertare l’origine del disturbo sono i test allergologici: verificando la reattività dell’individuo all’alimento imputato e ad eventuali altre sostanze utilizzate nella sua preparazione si può distinguere tra allergia alimentare e intossicazione da istamina.
Esistono altre patologie con manifestazioni simili alla sindrome sgombroide, da tenere in considerazione nel processo dagnostico: oltre alle reazioni allergiche alimentari (che possono presentarsi anche in forme gravi come lo shock anafilattico), bisogna escludere l’infestazione da Anisakis (anch’esso contenuto nel pesce), malattie gravi come l’infarto cardiaco o alcune patologie tumorali che causano sintomi similari (come la sindrome da carcinoide e il feocromocitoma).
Trattamento e prevenzione
Una caratteristica importante della sindrome sgombroide è che la concentrazione di istamina contenuta nel pesce mal conservato può essere enorme, molto più elevata di quella che il corpo umano è abituato a produrre e gestire. Per questo, se i batteri hanno prodotto grandi quantità di tale sostanza nell’alimento, i sintomi che ne derivano possono essere anche molto gravi. Particolare attenzione va riservata agli individui anziani, che soffrono di preesistenti malattie respiratorie o cardiovascolari, o che assumono particolari farmaci (come isoniazide o inibitori delle monoamino ossidasi – I-MAO) che rallentano ulteriormente la degradazione dell’istamina. Se i sintomi sono lievi, assumere antistaminici per via orale (come la cetirizina) può essere sufficiente a controllarli e risolverli. Se invece il disturbo è più grave e la pressione arteriosa è bassa, sarà necessario somministrare antistaminici, liquidi ed eventualmente farmaci corticosteroidei per via endovenosa.
L’istamina, una volta formata, è incredibilmente resistente: cucinare, affumicare, congelare o inscatolare i cibi che la contengono è inefficace nel prevenire l’intossicazione. Per questo, è fondamentale prevenire la sindrome attraverso un corretto processo di conservazione e osservando rigorosamente la “catena del freddo”. Idealmente, il pesce deve essere mantenuto a temperature di 0 °C o inferiori, in modo tale che i batteri non possano proliferare. Alcuni studi hanno dimostrato che sono sufficienti 2-3 ore a temperature uguali o superiori ai 20 °C per produrre quantità tossiche di istamina.
La sindrome sgombroide, a causa del meccanismo che la provoca (l’inadeguato congelamento del pesce) è inevitabilmente connessa con il commercio internazionale ed il trasporto a distanza di tale genere alimentare. Per prevenirla, dunque, occorre l’azione congiunta di più professionisti: dai pescatori, agli specialisti di igiene e sanità pubblica, fino ai ristoratori e, naturalmente, ai medici. La collaborazione, soprattutto in questo caso, fa la forza, e ci permetterà di gustare saporite pietanza di pesce senza temere reazioni indesiderate.